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Direzione generale per le dighe
e le infrastrutture idriche

Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative
e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali
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  • Piani e Programmi

    Pianificazione e programmazione degli interventi sulle infrastrutture idriche

  • Parte 1 - Le prime dighe e le prime lezioni della Storia

    È quasi una banalità ricordare quanto fondamentale sia, per un Paese, per una comunità, l'importanza delle dighe: senza le dighe non sarebbe possibile l'irrigazione dei campi o l'alimentazione idrica dei centri urbani o, perlomeno, non sarebbe possibile che queste attività fossero svolte su larga scala e in modo programmato. L'acqua dolce si può prelevare solo dalle sorgenti, dai pozzi e dai fiumi. Sorgenti e pozzi raramente riescono a soddisfare le molteplici esigenze di una popolazione. Restano i corsi d'acqua, ma senza le dighe l'erogazione sarebbe strettamente dipendente dalle loro portate incostanti, o dalle loro esondazioni spontanee, come avveniva nell'antico Egitto. Ma un'agricoltura, e più in generale un'economia, dipendente dal regime dei corsi d'acqua è un'economia fragile, perché troppo soggetta ai capricci della natura: da un lato le siccità, dall'altro le inondazioni devastanti, per non parlare dei problemi derivanti dalle aree paludose che spesso si formano vicino al basso corso dei fiumi.

    Questi sono i motivi per cui, fin dalla più remota antichità, tutte le società organizzate hanno sentito la necessità di imbrigliare l'acqua dei fiumi, deviandone il corso e/o creando invasi per alimentare acquedotti e canali di irrigazione. E questo è sempre stato fatto con le dighe. 

    La diga di Saveh, Iran, ca. 1280, vista da valle


    Dighe costruirono gli antichi Egiziani, i Babilonesi, i Persiani, gli Indiani, i Sabei nello Yemen, i Nabatei nel deserto del Negev, i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi, i Mongoli e le civiltà che seguirono. Piccole dighe costruirono perfino gli indiani Anasazi dell'America del Nord più di mille anni fa e gli aborigeni dell'Australia. Alcune dighe costruite in tempi remotissimi sono arrivate fino a noi. In molti casi se ne possono osservare i resti; in qualche caso quelle dighe sono ancora oggi in servizio.

    Le più antiche dighe di cui rimangano chiare tracce o documenti si ritiene siano quelle realizzate a Jawa in Giordania, intorno al 3000 avanti Cristo.

    Le dighe chiudevano e sopraelevavano il livello di alcuni piccoli invasi naturali al servizio della città di Jawa. Il sistema prevedeva una traversa di deviazione che alimentava cinque serbatoi, il più grande dei quali realizzato mediante una diga di 4÷5 metri di altezza ed 80 di lunghezza. La struttura degli sbarramenti era del tipo indicato in figura: due muri a secco con interposta della terra mista a pietrame sciolto. Alla terra era affidata la funzione di tenuta. Lo sbarramento era sostenuto a valle da un rilevato di modesta pendenza. Al piede di monte era poi realizzato un piccolo rilevato permeabile destinato a facilitare il drenaggio della diga durante lo svuotamento dell'invaso.

    diga jawa

    fig. 1: Struttura della maggiore delle dighe di Jawa (secondo VOGEL 1991).
    H = 5 m, L = 80 m, V = 20.000 m³(*)
    (*) N.B.: Qui e nel seguito,
    H = altezza della diga sulla fondazione;
    L = lunghezza planimetrica della diga in sommità;
    V = volume di invaso del serbatoio

    Anche nel campo delle dighe, come per tutte le esperienze umane, nel corso dei secoli la Storia ha impartito le sue spesso durissime ma preziose lezioni, promuovendo alcune scelte e respingendone altre. La prima lezione di cui rimanga traccia è quella della diga egiziana di Sadd el-Kafara, in arabo “Diga dei Pagani”.

    La diga fu costruita in Egitto presso Helwan, 30 chilometri a sud del Cairo, tra il 2700 e il 2600 a.C. Era uno sbarramento costruito su un wadi (un corso d'acqua normalmente secco tranne che nella stagione delle piogge), il Wadi el-Garawi, e formava un bacino di 570.000 metri cubi. La sua lunghezza al coronamento era 107 metri, l'altezza circa 14 metri, lo spessore 98 metri alla base e 56 metri alla sommità; un'opera, quindi, di dimensioni estremamente ragguardevoli: la prima grande diga della storia. Il corpo del rilevato era formato da un nucleo (32 metri alla base, 34 in sommità) di pietrisco, pietre di fiume e terra, contenuto a monte e a valle da due spesse scogliere di massi.

    diga egiziana di Sadd el-Kafara

    fig. 2: Struttura della diga di Sadd el-Kafara (secondo SCHNITTER 1994).
    H = 14 m, L = 107 m, V = 570.000 m³

    I paramenti avevano poi un rivestimento in pietrame squadrato disposto a formare dei gradini di 30 centimetri di altezza. Dato che i blocchi del rivestimento furono posti in opera senza alcun tipo di legante, è verosimile che la loro funzione fosse la finitura e la protezione del rilevato (dal moto ondoso a monte, forse da eventuali tracimazioni a valle) piuttosto che di realizzare una qualche tenuta, compito che invece restava affidato al nucleo.

    La diga di Sadd el-Kafara, come testimoniano i resti ancora esistenti, crollò nella parte centrale, che fu completamente asportata dal wadi. Il crollo si suppone avvenuto poco dopo la costruzione, in quanto nel bacino a monte non si rinvengono sedimenti depositati, che indicherebbero un periodo di esercizio della diga di una certa durata. Sulle due parti laterali residue dello sbarramento non c'è traccia dell'esistenza dello sfioratore. Mancando poi la parte centrale, non è possibile stabilire con certezza se in essa fosse stato realizzato uno scarico di superficie di qualche tipo. Certo è che se uno sfioratore esisteva, si è rivelato insufficiente, giacché l'ipotesi più accreditata in ordine alla distruzione della diga è che questa sia avvenuta per tracimazione del coronamento e rapida erosione del rilevato per effetto dell'acqua che vi scorreva sopra.

    Qual è, dunque, la lezione della storia? La lezione è che le dighe in materiali sciolti, se tracimate, vanno incontro a rapida distruzione; dunque devono essere provviste di sfioratori adeguatamente dimensionati e mantenuti in perfetta efficienza. A tutti coloro che nel corso dei millenni non hanno ricordato questa lezione, la storia l'ha puntualmente ripetuta.

    Il caso forse più famoso è quello della diga di South Fork, in Pennsylvania (USA), che crollò nel 1889 distruggendo la città di Johnstown ed uccidendo più di 2200 persone. Il crollo fu dovuto ad una pioggia eccezionale che determinò la tracimazione della diga, il cui scarico di superficie era stato chiuso con uno schermo filtrante per trattenere i pesci. Lo schermo, però, finì per trattenere anche i detriti, ostruendo completamente lo sfioratore. Peraltro, il coronamento della diga era stato abbassato per allargare la strada che vi correva sopra, e anche questo favorì la tracimazione, in quanto ne risultò ridotto il margine fra la quota di sfioro e la sommità della diga.

    south fork

    fig. 3: La diga di South Fork, Pennsylvania (USA), 1852, crollata nel 1889 (fonte: ASCE 1891).
    H = 22 m, L = 284 m, V = 18,2 Mm³, spessore alla base = 82 m, spessore in sommità = 3 m

    Nel campo delle dighe di ritenuta, come del resto in tutti i campi dell'ingegneria, gli incidenti avvenuti nel corso dei secoli hanno sempre avuto un minimo comun denominatore: l'imprevisto. Difficilmente, per una diga, l'imprevisto può essere rappresentato dalla spinta dell'acqua invasata. Tutti sanno che una diga sostiene dell'acqua. Per un progettista, sia che operi su basi empiriche (e cioè applicando esperienze, conoscenze e prassi maturate in casi precedenti, come sostanzialmente è avvenuto fino al XIX secolo), sia che definisca la geometria dell'opera secondo un calcolo di dimensionamento, la spinta dell'acqua è la sollecitazione più scontata, e dunque la più facile da prevedere e contrastare.

    Johnstown

    fig. 4: Johnstown, 1889 (fonte: U.S. Library of Congress).

    Il disastro nasce, semmai, da risvolti non considerati della presenza dell'acqua (infiltrazioni nella diga, nella fondazione e nelle spalle con conseguenti effetti di allentamento, dilavamento, e sviluppo di spinte destabilizzanti), o da altri fatti o fenomeni non previsti o sottovalutati che, eventualmente sommandosi alla spinta dell'acqua invasata, portano lo sbarramento al collasso. In ogni caso, è il manifestarsi dell'imprevisto che fa dei disastri una fonte preziosa e imprescindibile di insegnamenti: il collasso di una diga ti mette sempre di fronte al problema che non ti aspetti, al quale non avevi pensato nonostante l'intelligenza, la competenza e l'attenzione che puoi aver profuso nella progettazione. Si potrebbero fare centinaia di esempi, e di alcuni, particolarmente conosciuti, si riferirà in queste pagine.

    La figura 5 mostra le tre dighe di Alcantarilla, Proserpina e Cornalvo, costruite dai Romani nel I - II secolo d.C. nella Spagna centro-occidentale. La prima ad essere realizzata, intorno al primo quarto del I secolo, fu la diga di Alcantarilla, destinata all'alimentazione idrica della città di Toledo; le altre due, costruite per alimentare d'acqua la città di Mérida, che è conosciuta oggi per i suoi imponenti monumenti di epoca romana, si ritiene risalgano al regno dell'imperatore Traiano (98-117 d.C.), spagnolo di origine. Si tratta essenzialmente di strutture in muratura e calcestruzzo sostenute sul lato a valle da un rilevato in terra. In realtà, fra loro vi sono delle differenze:

    • La diga di Alcantarilla aveva nella parte di monte due pareti parallele di pietrame grezzo (non squadrato), ciascuna spessa circa un metro, separate da uno spazio di circa 0,6 metri riempito con calcestruzzo. Blocchi di pietra lavorata proteggevano il paramento di monte.
    • Nella diga di Proserpina la parte muraria è costituita da un nucleo di calcestruzzo compreso tra due pareti in muratura, entrambe sorrette sul lato esterno da contrafforti in muratura. Lo spessore originale del muro composito è di circa 3,75 metri al coronamento e 5 metri alla base.
    • Nella diga di Cornalvo la parte a monte è costituita da pareti in muratura che formano come celle interconnesse che furono riempite di calcestruzzo ciclopico (contenente cioè massi di grandi dimensioni) o argilla. La superficie contr'acqua è provvista di un rivestimento in muratura per protezione contro il moto ondoso. Gran parte di questo rivestimento originale è stato sostituito quando la diga è stata restaurata nel 1936.
    Le tre dighe di Alcantarilla, Proserpina e Cornalvo

    fig. 5: Struttura (fonte ARENILLAS PARRA 2002) delle dighe di:
    Alcantarilla:
    H = 20,0 m, L = 550 m, V = 3,5 Mm³
    Proserpina:
    H = 21,6 m, L = 428 m, V = 6,0 Mm³
    Cornalvo:
    H = 20,8 m, L = 200 m, V = 10,0 Mm³

    Di queste tre dighe, quella di Alcantarilla è distrutta al centro per una lunghezza di circa 200 metri, mentre le altre due sono tutt'oggi in servizio. Il motivo della distruzione di Alcantarilla è appunto un problema che i costruttori non avevano considerato: la loro idea era quella di una struttura che doveva resistere alla spinta dell'acqua, e la diga era effettivamente idonea a questo fine; non era invece atta, la parte muraria di monte, a resistere alla spinta del rilevato realizzato a tergo della diga nel momento in cui la spinta dell'acqua, in periodi di bassi livelli di invaso, veniva a mancare. E quindi la diga si ribaltò verso monte.

    Questo non avvenne nel caso della diga di Proserpina che, probabilmente in seguito all'esperienza del crollo o dell'iniziale dissesto della diga di Alcantarilla, fu dotata, sul paramento di monte, di contrafforti in muratura per garantirne l'equilibrio al ribaltamento sotto la spinta del rilevato di valle.

    diga di Prosperina

    fig. 6: La diga di Proserpina (fonte: Alonso de Mendoza).

    Un'altra categoria di insuccessi particolarmente istruttivi fu quella che insegnò (o ribadì) l'importanza di curare la tenuta della fondazione tanto quanto quella della struttura in elevazione. In questa categoria senza dubbio ricade il caso della diga di Saveh, costruita dai Mongoli intorno al 1280 nell'attuale Iran, sul fiume Gharatschai, 160 km a sud di Teheran. La diga fu fondata sulle alluvioni, che furono presumibilmente dilavate al primo invaso, rendendo lo sbarramento inutilizzabile. Dopo avere per 700 anni servito da ponte sul fiume che le scorreva sotto, recentemente la diga è stata demolita per far posto ad una moderna diga a cupola in calcestruzzo, la diga di Al-Ghadir, completata nel 2012.

    diga di Saveh

    fig. 7: La diga di Saveh, Iran, ca. 1280, vista da valle (fonte: DIEULAFOY 1887).
    H = 25 m, L = 65 m, spessore alla base = 35 m, spessore in sommità = 18 m

    Ma il caso certamente più conosciuto, in quest'ambito, è quello della seconda diga di Puentes, che fu realizzata tra il 1785 ed il 1791 sul Rio Guadalentín, in Spagna, per alimentare la città di Lorca e proteggerla nel contempo dalle ricorrenti inondazioni. Si parla di "seconda" diga di Puentes perché sostituiva una "prima" diga sul Rio Guadalentín che fu distrutta da una piena nel 1648 mentre era ancora in costruzione. Questa seconda diga, in muratura di pietrame grezzo con paramenti in pietra da taglio, alta 50 metri, era destinata ad essere costruita sulla roccia, ma nel corso degli scavi fu scoperta una profonda fenditura nella roccia d'imposta. Si pensò di rimediare al problema fondando la parte centrale della diga su dei pali infissi nel materiale alluvionale che riempiva la fenditura.

    Seconda diga di Puentes

    fig. 8: Seconda diga di Puentes, Spagna, 1791, crollata nel 1802 (fonte: TORRICELLI et al. 1888).
    H = 50 m, L = 282 m, V = 52 Mm³, spessore alla base = 46,90 m, spessore in sommità = 10,89 m

    Inevitabilmente, dopo 11 anni di servizio, il 30 aprile del 1802, l'appoggio inadeguato cedette sotto la pressione del serbatoio. Una nuova diga (la terza diga di Puentes) fu costruita circa 100 metri a valle di questa negli anni 1881-1884, utilizzando in parte il pietrame della vecchia diga.

    Infine, una quarta diga di Puentes è stata ultimamente costruita negli anni 1993 - 2000 poco a monte della terza, conservata per il suo valore storico e monumentale benché non più invasata. La posizione della nuova diga pressappoco coincide con quella della vecchia Puentes II (per l’ubicazione di quest’ultima, vedi planimetria allegata alla memoria DE INCHAURRANDIETA et al. 1876).

    Il crollo della seconda diga di Puentes causò la perdita di 608 vite umane e impartì una lezione mai più dimenticata: un'alta diga muraria, per quanto ben dimensionata possa essere, non può essere fondata sulle alluvioni, ma deve essere fondata interamente su roccia sana. Questa prescrizione si ritiene valida tutt'oggi, pur se esistono dighe murarie (solitamente traverse fluviali di altezza piuttosto contenuta) costruite su terreno alluvionale. Ma da parte del progettista deve essere sempre tenuta presente, e scongiurata, l'eventualità che si inneschi un fenomeno di sifonamento, consistente nel trascinamento verso valle, e graduale erosione, del terreno sciolto di appoggio della diga ad opera dell'acqua filtrante in pressione al di sotto dello sbarramento, così come avvenne nel caso della diga di Puentes II.

    Resti seconda diga di Puentes

    fig. 9: I resti della seconda diga di Puentes, in una foto del XIX secolo. (fonte: Jean Laurent

    Questa eventualità, come ai tecnici è ampiamente noto, si previene impermeabilizzando la fondazione con schermi di tenuta o palancolate che, anche quando non raggiungano la roccia massiva sottostante alle alluvioni, ottengono comunque il risultato di costringere l'acqua che filtra sotto la diga ad un percorso molto più lungo, con conseguente riduzione della velocità di filtrazione e quindi della capacità erosiva e di trasporto a valle del terreno d'imposta.

    Riguardo alla lezione impartita dal disastro della seconda diga di Puentes, il fatto che questa sia stata ben recepita può apprezzarsi osservando che in Spagna l'intero secolo XIX può ritenersi un periodo di moratoria e riflessione nella realizzazione di grandi invasi (e ciò in un Paese che nei secoli precedenti era stato la patria delle grandi dighe di ritenuta). La capacità di invaso complessiva dell'intera Spagna nel 1900 non superava i 100 milioni di metri cubi, neanche il doppio del volume di 52 Mm³ invasato dalla sola seconda diga di Puentes rovinata nel 1802 (cfr. GIL OLCINA 2002). La stessa terza diga di Puentes fu costruita solo dopo che la tecnologia consentì di bonificare la profonda fenditura nell'alveo del Rio Guadalentín (fig. 10), asportando completamente, per un tratto di 72 metri, le alluvioni che la riempivano e realizzando un tampone in muratura di circa 25 metri di altezza fondato su roccia sana sul quale appoggiare, nella zona centrale dell'alveo, la nuova diga.

    terza diga di Puentes

    fig. 10: Terza diga di Puentes, Spagna, 1884 (fonte: TORRICELLI et al. 1888).
    H = 48 m (72 m rispetto alla base del tampone); L = 312 m (di cui 167 m relativi al corpo centrale); V = 40 Mm³; spessore alla base = 38 m, spessore in sommità = 4 m

    terza diga di Puentes

    fig 11: Terza diga di Puentes, Spagna, 1884 (fonte: TORRICELLI et al. 1888).

    Fonti iconografiche e riferimenti bibliografici


    ARENILLAS PARRA 2002 ..................... ARENILLAS PARRA, Miguel - Obras hidráulicas romanas en Hispania. In: Actas del I Congreso: Las obras públicas romanas en Hispania. Ed. Colegio de Ingenieros Técnicos de Obras Públicas - Madrid, 2002, pagg. 107-136.

    ASCE 1891 ............................................... AMERICAN SOCIETY of CIVIL ENGINEERS - Report of the Committee on the Cause of the Failure of the South Fork Dam. In: Transactions, Vol. XXIV, n. 477, June 1891. Ed. ASCE - New York, 1891, pagg. 431-469.

    DIEULAFOY 1887................................... DIEULAFOY, Jane - La Perse, la Chaldée et la Susiane. In: Le tour du monde - journal des voyages - nouvelle série - fascicolo n. 1179. A cura di Edouard Charton. Ed. Hachette - Parigi, 1887.

    SCHNITTER 1994.................................... SCHNITTER, Niklaus - A History of Dams - The Useful Pyramids. Ed. Balkema - Rotterdam, 1994.

    TORRICELLI et al. 1888.......................... TORRICELLI, Giacomo; ZOPPI, Giuseppe - Irrigazioni e laghi artificiali della Spagna. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio - Annali di Agricoltura n. 141. Tip. di G. Barbèra - Firenze, 1888.

    VOGEL 1991............................................ VOGEL, Alexius - Die kupfersteinzeitlichen Dämme von Jawa in Jordanien. In: Historische Talsperren, Vol. 2. Ed. Wittwer - Stoccarda, 1991.

    Data aggiornamento: 22/04/2022

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