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Direzione generale per le dighe
e le infrastrutture idriche

Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative
e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali
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  • Piani e Programmi

    Pianificazione e programmazione degli interventi sulle infrastrutture idriche

  • Parte 2 - Le dighe in materiali sciolti e miste

    Un po' come sempre è accaduto per le specie viventi, così le tipologie delle dighe di ritenuta si sono evolute nei secoli non solo in seguito a una sorta di selezione naturale che determinava la riproduzione di alcune caratteristiche vincenti e l'abbandono di altre, ma anche, o meglio soprattutto, in relazione alle condizioni ambientali che suggerivano, e talora imponevano, determinate risposte progettuali. E le condizioni ambientali per una diga sono principalmente rappresentate dalle caratteristiche geometriche e geologiche della stretta destinata ad ospitarla e dalla disponibilità dei materiali con cui realizzarla, oltre che da fattori economici e sociali che in molti casi portano ad orientare la progettazione in una direzione piuttosto che in un'altra.

    La diga di Piana dei Greci, Piana degli Albanesi, (PA), 1923


    Su queste basi, la tecnologia delle dighe di ritenuta ha selezionato nel tempo due fondamentali categorie: quella della dighe in materiali sciolti (terra, pietrame o entrambi: terra e pietrame) e quella delle dighe murarie (in muratura di pietrame e, più recentemente, in calcestruzzo); tra le dighe murarie possono poi distinguersi la famiglia delle dighe a gravità e quella delle dighe ad arco.

    Va detto da subito che questa classificazione molto generica, così come altre più articolate che si possono proporre, è destinata a cadere in difetto alla luce dell'estrema variabilità delle tipologie esistenti, che spesso si collocano a metà strada fra le categorie sopra indicate. Ad esempio, è assai frequente che una diga muraria sia concepita per resistere alla spinta dell'acqua in parte per gravità e in parte per effetto arco. Altre volte una diga muraria, pur essendo abbastanza massiccia per funzionare soltanto a gravità, presenta ugualmente una planimetria arcuata, o perché ciò consente di fondarla su una roccia di migliori caratteristiche o perché il progettista ritiene di assegnarle una riserva di resistenza non strettamente necessaria e tuttavia proponibile, in previsione di eventuali problematiche dovute a difetti costruttivi o all'obsolescenza dell'opera.

    Allo stesso modo, come esistono le categorie delle dighe in materiali sciolti e delle dighe murarie, così vi sono tanti esempi, antichi e moderni, di dighe miste, con parti in materiali sciolti e parti murarie. Due casi particolarmente conosciuti sono quelli delle dighe francesi di St. Ferréol e Couzon,facenti parte del sistema di sbarramenti e invasi che alimentano il Canal du Midi, gemelle per tipologia eppure realizzate in epoche diverse, la prima ultimata nel 1675 e l'altra nel 1812.

    le dighe di St. Ferréol e di Couzondidascalia delle dighe di St. Ferréol e di Couzon

    fig. 1: Le dighe miste, in terra e muratura di pietrame, di St. Ferréol (o St. Fériol, Francia, 1675) e di Couzon (Francia, 1812), concepite in modo molto simile (fonte: MINARD 1841).
    Dimensioni: St. Ferréol H = 36 m, L = 871 m, V = 6,3 Mm³ Couzon H = 35 m, L = 218 m, V = 1,5 Mm³

    Per l'Italia non si può fare a meno di citare, tra le dighe in muratura e materiali sciolti, l'antica, monumentale diga di Ternavasso,realizzata intorno al 1600 per l'irrigazione di una vasta tenuta agricola. La diga richiama un po' la struttura della diga romana di Proserpina, di cui si è detto precedentemente, in quanto è costituita da un muraglione, sostenuto a monte da contrafforti, che contiene un rilevato in terra cui è affidato il compito di sostenere in massima parte la spinta dell'acqua invasata. Il muraglione, di circa 7 metri d'altezza e 60 cm di spessore alla sommità, è formato con mattoni legati con malta ed è intonacato sulla faccia contr'acqua (fig. 2); in planimetria si sviluppa secondo un andamento a Z, con tre tratti pressoché rettilinei di circa 45, 70 e 210 metri, per una lunghezza complessiva intorno ai 325-330 metri.

    diga di ternavasso

    fig. 2: Diga di Ternavasso, Poirino (Torino), 1600 c.a. (fonte: BELLINCIONI 1934).
    H = 7 m, L = 330 m, V = 250˙000 m³

    Non sempre l'associazione di parti sciolte e parti murarie ha dato buoni risultati. In realtà la diga di tipo misto può presentare diverse problematiche, di ordine non solo economico, ma anche tecnico, in quanto talora assomma gli svantaggi, e non i pregi, dei tipi omogenei. Le dighe come queste, infatti, non hanno il pregio di potersi adattare ad una fondazione deformabile, come le dighe in materiali sciolti, e nemmeno hanno la robustezza ed impermeabilità di una diga in muratura massiccia. Anche i sensibili (e disomogenei) assestamenti cui sono soggetti i materiali sciolti sotto carico possono risultare fatali in uno sbarramento di tipo misto, soprattutto quando la parte rigida dovesse appoggiarsi sulla parte sciolta. Peraltro, è sempre delicato, quando la diga sia composta di terra e muratura, il problema del contatto tra i due materiali, che può diventare sede preferenziale di infiltrazioni, sempre pericolose per il rischio che ne deriva di dilavamento della terra. Né va dimenticato il problema delle diverse caratteristiche fisiche e meccaniche fra terra e muratura, che assume un particolare rilievo quando i due materiali siano chiamati a collaborare. E' eclatante, a questo riguardo, il caso della diga di El Gasco, in Spagna, il cui imponente rilevato ancora oggi esiste, benché completamente interrito a monte, in una stretta sul fiume Guadarrama, non lontano da Madrid.

    La diga di El Gasco, la cui costruzione fu iniziata nel 1788, doveva essere alta oltre 93 metri sul fondo del serbatoio, il che ne avrebbe fatto la diga più alta del mondo, per quei tempi. La diga aveva pianta rettilinea, e una volta ultimata avrebbe raggiunto uno sviluppo al coronamento di 250 m. La struttura doveva consistere in due muri esterni di spessore costante pari a 2,8 m realizzati in pietra da taglio e malta, collegati fra loro da muri trasversali in muratura ordinaria (pietrame non squadrato e malta). Lo spazio interno, quindi, risultava diviso in tanti cassoni, i quali si riempirono di pietre e di argilla. La costruzione del gigantesco rilevato era giunta a 57 metri dal fondo quando, il 14 maggio 1789, un'abbondante pioggia fece gonfiare l'argilla e produsse la distruzione di una buona parte del muro di valle. Il lavoro fu del tutto abbandonato.

    diga El Gasco

    fig. 3: La diga di El Gasco (fonte: Comunidad de Madrid).

    Tutte queste potenziali riserve han fatto sì che, complessivamente, la tipologia mista muratura-materiali sciolti non abbia avuto una frequenza paragonabile a quella delle tipologie omogenee. Le dighe in terra, invece, ebbero fin dall'antichità una grande diffusione in Asia, soprattutto in India e Ceylon, dove furono realizzati rilevati di dimensioni imponenti, non tanto per l'altezza, che si mantenne quasi sempre al disotto dei 20÷25 metri, quanto per la lunghezza. Parecchie dighe molto antiche sono tutt'oggi in servizio; tra queste:

    • la diga di Moti-Talav, in India, costruita nel XI secolo, alta 24,4 metri e lunga 750 m; invasa 22 Mm³;
    • la diga di Veeranam, ancora in India, di 9,1 metri di altezza e ben 16 chilometri di lunghezza, eretta nel periodo 1011-1037; invasa 41,2 Mm³;
    • la diga di Padaviya, realizzata nell’isola di Ceylon nel XII secolo, di altezza 18 metri e lunghezza 4,4 chilometri; invasa 105 Mm³;
    • la diga di Nuwara, anch’essa sull’isola di Ceylon, alta solo 11 metri ma lunga 4,8 chilometri, risalente addirittura al I secolo a.C. e tutt’ora in servizio, sia pure a seguito di successivi interventi di restauro o ricostruzione parziale; invasa 44 Mm³;
    • la diga di Cumbum, nell’India centro-meridionale, costruita nel XIV secolo, alta 18,3 metri e lunga 296; invasa 105 Mm³.

    All'inizio del XX secolo si stimava che nella sola provincia di Madras vi fossero oltre 40˙000 dighe di terra, ed in quella di Mysore circa 30˙000. Tipicamente, le dighe storiche indiane sono costituite da un massiccio in terra omogenea, costipata facendovi camminare sopra gli operai che trasportavano la terra stessa e la stendevano sul rilevato. I paramenti hanno solitamente scarpate che a monte vanno da 1:1,5 ad 1:3, e a valle da 1:1,5 ad 1:2. Il coronamento è spesso molto largo. Il paramento di monte è rivestito da lastroni di pietra o da una scogliera di pietrame, a protezione del rilevato dal moto ondoso; talora anche il paramento di valle è rivestito (fig. 4), verosimilmente per proteggerlo dagli agenti atmosferici o per prevenire spaccature nei mesi asciutti.

    diga di cumbum

    fig. 4: La diga di Cumbum secondo P.Guillemain (fonte: GUILLEMAIN 1885), che verosimilmente ne sovrastimò l’altezza basandosi su fonti inglesi, che la dicevano alta “oltre 100 piedi”. Le dimensioni sotto indicate sono invece quelle indicate da N. Schnitter (SCHNITTER 1994), che riferisce di averle trascritte da un cartello presso la diga.
    H = 18,3 m, L = 296 m, V = 105 Mm³

    Di norma, la terra di cui le dighe sono costituite è il loess, un materiale particolarmente indicato per formare questo genere di rilevati. Si tratta di un deposito sedimentario molto abbondante nei bacini dei grandi fiumi, costituito da minute particelle di sabbia e argilla, quest'ultima nella proporzione di circa il 33%, ossia quella occorrente per riempire completamente gli spazi fra i granelli di sabbia, e ottenere così la massima impermeabilità, senza tuttavia che il rilevato abbia la tendenza a rigonfiare o franare, come avverrebbe se l'argilla fosse in eccesso rispetto a quella strettamente necessaria. La modesta pendenza dei paramenti contribuisce ulteriormente a minimizzare il rischio di franamenti.

    In Europa, le dighe in materiali sciolti si diffusero soprattutto in Inghilterra, in Scozia e nel meridione della Francia. Non essendo qui a disposizione grandi depositi di loess, per gli sbarramenti di rilevanti dimensioni le modalità costruttive si evolsero in modo differente.

    In Francia (in fig. 5 la diga della Vingeanne) nel XIX secolo era spesso utilizzato un miscuglio di ghiaia fine o sabbia grossa insieme con sabbia fine ed argilla, detto corroi, il quale doveva contenere solo il quantitativo d'argilla sufficiente a legare i granelli di sabbia, realizzando una specie di malta nella quale l'argilla sostituiva la calce.
    Il procedimento costruttivo prevedeva lo stendimento di uno strato di 7 cm di ghiaietto o sabbia grossa, e di 13 cm del miscuglio di sabbia e argilla. Il tutto veniva bagnato con dell'acqua nella quale era stata sciolta della calce idraulica in polvere (il Guillemain indicava un quantitativo di calce in polvere di circa 12 litri per metro cubo di corroi; cfr. GUILLEMAIN 1885), quindi la massa veniva fortemente cilindrata con pesanti rulli a nervature, fino a quando il grado di compressione non fosse tale che le nervature dei rulli non affondavano più nella massa terrosa.

    diga vingeanne

    fig. 5: La diga della Vingeanne, esempio tipico delle dighe in terra francesi, ultimata nel 1905 (fonte: LUIGGI 1913).
    H = 13 m, L = 1250 m, V = 8,3 Mm³

    Il risultato, una sorta di terra stabilizzata, era un materiale quasi impermeabile, e talmente resistente da poter essere rotto solo con un piccone. Ciò consentiva di assegnare al rilevato dimensioni più contenute rispetto alle dighe indiane, giacché bastavano sia a monte che a valle delle pendenze dell'ordine di 1,5 di base per 1 di altezza. Il paramento di monte era di norma rivestito con una scogliera di pietrame o, nel caso dei rilevati di maggiore altezza, con una muratura a secco formata con pietre lavorate disposte a gradoni.

    In Inghilterra, la costruzione delle dighe in terra si diffuse nel XVIII secolo, non tanto per motivi connessi con l'approvvigionamento idrico, quanto per obiettivi di carattere ricreativo e paesaggistico: creare laghetti ornamentali per la pesca e il piacere dei proprietari terrieri, secondo i canoni indicati già nel 1600 da John Taverner in una sua pubblicazione sulla pesca e sugli alberi da frutto. Sulle prime, queste dighe erano dei rilevati omogenei in terra impermeabilizzati con un paramento di monte in puddle, una sorta di calcestruzzo di argilla fatto con ghiaia, sabbia e argilla ben impastato con acqua e poi fortemente compresso. Secondo il Col. John T. Fanning, membro dell'American Society of Civil Engineers, un buon puddle avrebbe dovuto essere composto dalle seguenti proporzioni di materiali (in volume): ghiaia grossolanamente crivellata 1,00; ghiaietto fine 0,35; sabbia 0,15; argilla 0,20. Il volume di miscela risultante sarebbe così pari ad 1,70, che darebbe un volume di puddle compresso pari ad 1,00 (cfr. GOODEL 1899).

    Verso la metà del secolo XVIII, l'ingegnere John Grundy prese a collocare l'argilla non più sul paramento di monte, ma in un nucleo centrale, affidando a questo il compito di assicurare l'impermeabilità del rilevato; una tecnica, questa, appresa dall'esperienza tedesca nelle dighe minerarie dell'Harz. La soluzione di Grundy, successivamente adottata da altri ingegneri, divenne il marchio di fabbrica delle dighe inglesi per i secoli a venire. Il principio basilare di questa tecnica (tutt'oggi valido e largamente applicato in tutto il mondo) è che non occorre che tutto il corpo della diga sia composto da materiale impermeabile: basta che lo sia solo una zona, convenientemente dimensionata per assicurare che l'acqua sia effettivamente trattenuta; il resto del rilevato potrà anche essere permeabile, perché ad esso saranno assegnate altre funzioni: stabilità, sostegno e protezione del nucleo dal dilavamento, protezione del rilevato dal moto ondoso. Restringendo peraltro al solo nucleo la funzione della tenuta idraulica, si determinano consistenti economie rispetto al sistema francese.

    Dunque, secondo la tecnica adottata dai costruttori inglesi, la diga è formata da un diaframma centrale di puddle incassato nel terreno di fondazione fino a raggiungere uno strato sicuramente impermeabile ed elevato fino alla sommità della diga. A monte e a valle del nucleo sono disposti due contronuclei in terra costipata, non del tutto impermeabile ma abbastanza sottile da impedire il dilavamento del nucleo in presenza di acqua. Infine, a monte e a valle dell'insieme nucleo-contronuclei, sono disposti due corpi di maggiori dimensioni formati da materiale più grossolano e permeabile, ai quali è affidata la funzione di garantire la stabilità del rilevato e il sostegno dei corpi centrali.

    Il paramento di monte è spesso protetto dall'azione del moto ondoso mediante un rivestimento in pietrame. Dal momento che il rilevato è formato da materiale meno coerente che nelle dighe francesi, le pendenze dei paramenti sono corrispondentemente minori. Solitamente al paramento di monte erano assegnate pendenze dell'ordine di 2 o 3 di base per 1 di altezza, e a quello di valle di 1,5÷2,5 di base per 1 di altezza. Non era infrequente, tuttavia, che si adottassero pendenze ancora minori, come nella diga di Talla in fig. 6, ai cui paramenti fu assegnata una scarpa di 4 a 1.

    diga di Talla

    fig. 6: La diga di Talla, realizzata a servizio dell’acquedotto di Edimburgo negli anni 1895-1904 (fonte: LUIGGI 1913).
    H = 24 m, L = 320 m, V = 12,7 Mm³

    In Italia le dighe in materiali sciolti non ebbero, fino al XX secolo, grande diffusione, se non nel caso di piccoli sbarramenti in terra al servizio di fondi privati, con l'unica notevole eccezione della diga de La Spina aa Pralormo (TO), uno sbarramento in terra compattata, ultimato nel 1830, che raggiungeva l'altezza di 20,2 metri, giungendo ad invasare oltre un milione di metri cubi.

    La diga de La Spina rappresenta, nell'ambito degli sbarramenti in materiali sciolti, la più antica "grande diga" italiana secondo l'attuale definizione normativa (altezza superiore a 15 metri sul piede dei paramenti e/o volume di invaso superiore a 1 Mm³), il che le assegna un particolare interesse storico e monumentale.

    Quanto le sue dimensioni dovessero sembrare strabilianti all'epoca della costruzione si evince dall'ammirata descrizione che ne fece il naturalista Prof. Giacinto Carena in una sua memoria del 1829 dedicata ai serbatoi artificiali (CARENA 1829): "Ultimo per data, questo serbatoio sarà il primo per la copia delle acque che vi saranno raccolte alla prodigiosa altezza forse di 18 metri, le quali, dopo aver dato moto ad un mulino, potranno adacquare regolatamente ben 400 ettari di terreno".

    Particolarmente originale (benché forse difficilmente durevole) appare anche il sistema che il progettista, Ing. Giacomo Barabino, immaginò per raccogliere l'acqua non dal fondo dell'invaso ma dalla superficie, costituito da un tubo snodato formato da doghe di legno il cui imbocco veniva mantenuto prossimo al pelo libero dell'acqua da un galleggiante sostanzialmente costituito da due tini (fig. 7). La congiunzione snodata con la condotta di derivazione che attraversa la diga era realizzata con una manica di cuoio.

    diga de La Spina

    fig. 7: Diga de La Spina, Pralormo (Torino), 1830 (fonte: PARETO 1855).
    H = 20,2 m, L = 190 m, V = 1,08 Mm³

    L'ammirazione dei contemporanei per le strabilianti dimensioni della diga de La Spina può ben comprendersi alla luce del fatto che ancora per tutto il XIX secolo, sulla base delle esperienze accumulate fino ad allora, non si riteneva possibile realizzare ritenute considerevoli con dighe in terra. In ogni caso, al di sopra dei 25÷30 metri di altezza la diga era da realizzarsi in muratura di pietrame.

    Anche alcuni disastri avvenuti in Inghilterra (diga di Holmfirth, 1852, 81 morti; diga Dale Dyke, 1864, 244 morti nella città di Sheffield, che ne fu devastata) non contribuivano a presentare le dighe in terra come una tipologia utilizzabile per alti sbarramenti.

    la diga di Holmfirth

    fig. 8: La diga di Holmfirth, Inghilterra, realizzata negli anni 1839-1843, dopo il collasso avvenuto nel 1852 (fonte: ILL. LONDON NEWS 1852).
    H = 20,4 m, L = 90 m, V = 300˙000 m³

    la dighe di Dale Dyke

    fig. 9: Dale Dyke, Inghilterra, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1859 ed erano quasi completati, nel marzo 1864, quando avvenne il collasso della diga, che qui si vede sulla sinistra, da valle, dopo il disastro (fonte: ILL. LONDON NEWS 1864).
    H = 30,5 m, L = 365 m, V = 3,2 Mm³

    Nei primi decenni del XX secolo in Italia ebbe una notevole diffusione la tipologia delle dighe in scogliera, studiata e promossa, sulla scorta di diverse realizzazioni americane, dall'Ing. Luigi Luiggi, professore di costruzioni idrauliche al Regio Politecnico di Roma. L'opzione della diga in scogliera appariva particolarmente indicata soprattutto in alta montagna, dove in massima parte furono realizzate le opere di questo tipo, sia in quanto non vi erano disponibili grandi masse di terra o d'altri materiali occorrenti per costruire le dighe di terra, sia per le notevoli difficoltà di approvvigionamento del cemento necessario per una diga muraria e per la particolare brevità della stagione di eseguibilità dei getti del calcestruzzo.

    Le dighe in scogliera italiane ed europee di questo periodo non erano formate, come solitamente quelle americane, con pietrame alla rinfusa, bensì con pietrame sistemato a mano, pratica, questa, finalizzata a ridurre la percentuale di vuoti e, conseguentemente, gli assestamenti nel rilevato. L'elemento di tenuta era rappresentato dal paramento di monte, costituito di muratura con malta di cemento con sovrapposto uno strato di bitume e un manto in bolognini o, talora, di calcestruzzo di cemento con soletta di cemento armato sovrapposta, suddivisa in lastroni da giunti impermeabilizzati con lamierino e spesso calafatati. Tra gli esempi più eminenti, dal punto di vista dimensionale, si possono citare la diga di Codelago, la più antica (1912, in provincia di Novara, 27,7 metri di altezza sulla fondazione, escludendo il muro di taglione), Lago Vargno (1918, Aosta, 26 m, fortemente ridotta di altezza negli anni ’60), Lago Vannino (1921, Novara, 27 m) e Piana dei Greci, oggi Piana degli Albanesi (1923, Palermo, 41 m).

    È degna di nota, nella diga di Piana dei Greci e prima ancora in quella del Lago Vargno, la particolare disposizione del pietrame che il progettista di entrambe, Ing. Luigi Mangiagalli, previde per la formazione del rilevato. Il pietrame, grossolanamente squadrato a mano, veniva sistemato su superfici concave e distribuito sulla sezione trasversale, collocando gli elementi più grossi e regolari in prossimità dei paramenti. Inoltre, la massa di pietrame era inquadrata "fra cordonate regolari longitudinali e trasversali di pietrame più scelto e regolare che hanno precedenza di elevazione, formano efficaci legamenti interni, e riducono sempre più gli effetti dell’assettamento"(MANGIAGALLI 1925). Le cordonate per il contenimento del pietrame sciolto formavano maglie di 12 x 12 m² (fig. 10).

    la diga del Lago Vargno

    fig. 10: La diga del Lago Vargno, Fontainemore (AO), 1918 (fonte: SCIMEMI 1928).
    H = 26 m, L = 110 m, V = 1,14 Mm³ (dati relativi allo sbarramento originario)

    la diga della Piana dei greci

    fig. 11: La diga di Piana dei Greci, Piana degli Albanesi, (PA), 1923 (fonte: MANGIAGALLI 1925).
    H = 48 m, L = 260 m, V = 32 Mm³ (volume di invaso originario)

    Insieme con le dighe in scogliera, nei primi decenni del ’900 cominciarono ad essere realizzate in Italia dighe in materiali sciolti zonate, ispirate al modello inglese.

    La prima, che per parecchi anni fu anche la più rilevante, è la diga ai Paduli di Lagastrello sul torrente Enza (1911, in provincia di Massa-Carrara, 27 m). Il tipo inglese, nel caso di questa diga, si presenta in realtà alquanto rielaborato (fig. 11). L'impermeabilità della diga è assicurata non solo dal nucleo centrale in argilla battuta, ma anche dalla natura stessa della terra che costituisce il rilevato. A monte è presente un muro di presidio e di sostegno della scarpata eseguito in pietrame e malta cementizia. Anche la scarpata di valle è presidiata da un muro di sostegno, formato in pietrame a secco, destinato non solo al contenimento, ma anche al drenaggio della massa terrosa. Sia il paramento di monte che il coronamento della diga sono rivestiti da un selciato a secco allettato su materiale sabbioso dello spessore di circa un metro e ricoperto da lastroni in cemento armato.

    diga di Paduli

    fig. 12: La diga ai Paduli di Lagastrello, Comano (MS), 1911 (fonte: MINISTERO LL.PP. 1926).
    H = 27 m, L = 162 m, V = 3,6 Mm³

    Un successivo notevole esempio di diga di tipo "inglese" è quello della diga di Nocelle (1931, Cosenza, 34,7 m), anche questa destinata, dopo la sua realizzazione, a rimanere a lungo la maggiore opera italiana del genere. Questo soprattutto per effetto del clima di grande prudenza che, dopo il disastro della diga del Gleno (1923, di cui si dirà più avanti), ispirò la normativa di settore italiana, anche nel campo delle dighe in materiali sciolti. In particolare, il Regolamento per i progetti, la costruzione e l'esercizio delle dighe di ritenuta di cui al R.D. 31 dicembre 1925, n. 2540 previde che l'altezza del carico d'acqua non dovesse eccedere i 20 metri per le dighe in terra, e i 25 metri per le dighe in muratura a secco. Il successivo Regolamento di cui al R.D. 1° ottobre 1931, n. 1370 portò i limiti predetti rispettivamente a 25 e 30 metri, "salvo eccezioni da valutare particolarmente caso per caso". Alcune eccezioni vi furono effettivamente: la stessa diga di Nocelle, la diga in muratura a secco di Gela sul torrente Disueri (1948, in provincia di Caltanissetta, 41 m, successivamente dismessa e sostituita dalla nuova diga di Disueri, realizzata immediatamente a valle), la diga in terra zonata di Vernago (1956, Bolzano, 40 m, successivamente rialzata a 64 m), la diga in scogliera del Cuga, successivamente modificata (1960, Sassari, 54,5 m, il cui progetto fu approvato in vigenza del Regolamento del 1931). Tuttavia, fu solo col Regolamento del 1959, D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, che anche in Italia le dighe in materiali sciolti poterono liberamente diffondersi senza più limitazioni dimensionali, ormai del tutto anacronistiche alla luce del fatto che la tecnica delle dighe in materiali sciolti si era molto evoluta nel corso della prima metà del secolo. Si può anzi affermare che il XX secolo sia stato il secolo della riscossa delle dighe in materiali sciolti: una più avanzata tecnologia dei materiali e della loro posa in opera, sempre più meccanizzata, e soprattutto il ricorso al pietrame, piuttosto che alla terra, per quelle parti dello sbarramento cui è affidata la stabilità e la portanza del rilevato, han fatto sì che le dimensioni delle dighe in materiali sciolti rapidamente crescessero fino a raggiungere altezze un tempo impensabili, al punto che attualmente alcune delle più alte dighe del mondo (tra tutte la diga di Nurek, 300 m, in Tagikistan), sono appunto dighe di questo tipo. Peraltro, sono forse le dighe in materiali sciolti che attualmente rappresentano la tipologia con maggiori possibilità di diffusione e sviluppo nel campo delle dighe di grande altezza, per via della loro versatilità: non solo la diga in materiali sciolti è meno esigente di una diga muraria per quanto attiene alle caratteristiche fisiche e meccaniche della fondazione, ma generalmente si presta anche, meglio di una diga muraria, ad essere realizzata con materiali reperibili in massima parte presso il sito di costruzione, con evidenti riflessi sull’economicità dell’opera.

    Fonti iconografiche e riferimenti bibliografici


    BELLINCIONI 1934 ................................ BELLINCIONI, Giovanni - Il lago artificiale agricolo. In: Le vie d’Italia, Rivista mensile del Touring Club Italiano, Milano, n. 2, febbraio 1934, pagg. 143-152.

    GUILLEMAIN 1885 ................................ GUILLEMAIN, Paul - Navigation intérieure - Rivières et canaux. Ed. Librairie Polytechnique Baudry et Compagnie - Parigi, 1885, volume 1volume 2.

    ILL. LONDON NEWS 1852 .................... THE ILLUSTRATED LONDON NEWS (rivista settimanale inglese) - The Fatal Inundation at Holmfirth, articolo illustrato pubblicato nel numero del 6 marzo 1852.

    ILL. LONDON NEWS 1864 .................... THE ILLUSTRATED LONDON NEWS (rivista settimanale inglese) - Illustrations of the Terrible Flood at Sheffield, articolo illustrato pubblicato nel numero del 26 marzo 1864.

    LUIGGI 1913............................................ LUIGGI, Luigi - L’evoluzione delle grandi dighe per laghi artificiali. Conferenza tenuta alla 7a riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Siena, 1913. Tipografia Nazionale di G. Bertero e C. - Roma, 1914.

    MANGIAGALLI 1925 .............................MANGIAGALLI, Luigi - L’impianto idroelettrico dell’Alto Belice della Società Generale Elettrica della Sicilia. In: L’Energia Elettrica, Vol. II, n. 5, maggio 1925, pagg. 417-471.

    MINARD 1841 .........................................MINARD, Charles Joseph - Cours de construction des ouvrages qui établissent la navigation des rivières et des canaux, professé à l’Ecole des Ponts et Chaussées de 1832 à 1841. Ed. Carilian-Goeury et Victor Dalmont - Parigi, 1841 (con Atlante fuori testo).

    MINISTERO LL.PP. 1926........................MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI - Commissione per la verifica delle dighe di ritenuta - Le dighe di ritenuta in Italia. Roma, 1926.

    PARETO 1855.......................................... PARETO, Rafaele - Irrigazione e bonificazione dei terreni - Trattato dell’impiego delle acque in agricoltura. Ed. B. Saldini - Milano, 1855 (con Atlante fuori testo). [N.B: La versione italiana del testo è una traduzione della precedente versione francese, Irrigation et assainissement des terres - Traité de l’emploi des eaux en agricolture, Ed. Roret - Parigi, 1851].

    SCIMEMI 1928 ........................................ SCIMEMI, Ettore - Dighe. Ed. Hoepli - Milano, 1928.

    Data aggiornamento: 22/04/2022

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