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Direzione generale per le dighe
e le infrastrutture idriche

Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative
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    Pianificazione e programmazione degli interventi sulle infrastrutture idriche

  • Parte 7 - La sottospinta, l'ultimo gradino

    Già nel 1872, in un articolo pubblicato sulla rivista inglese "The Engineer", William J.M. Rankine evidenziò alcuni limiti dei profili proposti dagli Autori francesi. In particolare, egli osservò come al lembo di valle di ogni sezione orizzontale, quando il paramento fosse stato inclinato rispetto alla verticale, gli sforzi di compressione massimi non sarebbero stati quelli verticali, bensì quelli paralleli al paramento, che potevano dunque superare i 6 kg/cm² ammessi da De Sazilly. Rankine tuttavia riteneva che il limite dei 6 kg/cm² potesse essere superato, ed egli stesso proponeva un profilo caratterizzato dall'ammettere a monte un carico verticale massimo di 9,8 kg/cm². A valle, invece, Rankine ammetteva un carico verticale massimo di soli 7,6 kg/cm², tenendo conto della circostanza che a valle, per effetto dell'inclinazione del paramento, il carico massimo di compressione sarebbe stato maggiore del carico verticale massimo consentito di 7,6 kg/cm².

    Comparazione profili Delocre e Rankine

    fig. 1:  Comparazione dei profili Delocre e Rankine

    La diga Grande Dixence


    Col suo profilo, inoltre, Rankine correggeva un altro problema osservato sui profili francesi: quello di ammettere rilevanti sforzi di trazione nella muratura, soprattutto a monte in condizioni di serbatoio pieno: "Ho tenuto presente un altro principio non menzionato dagli autori francesi, cioè che non dovrebbe esserci alcuna trazione praticamente apprezzabile in nessun punto della muratura, sia sulla faccia esterna quando il serbatoio è vuoto, sia sulla faccia interna quando il serbatoio è pieno. L'esperienza ha dimostrato che nelle strutture in mattoni o muratura che sono esposte all'azione ribaltante di forze variabili in entità e direzione (come quando la ciminiera di una fabbrica è esposta all'azione del vento), la tendenza a cedere si manifesta dapprima nel punto in cui la trazione è maggiore. Affinché questo principio possa essere soddisfatto, la linea di resistenza [o "curva delle pressioni", curva formata dai punti di applicazione delle risultanti delle tensioni sulle diverse sezioni orizzontali, ndr] non deve deviare dalla metà dello spessore della parete in misura apprezzabilmente superiore a un sesto dello spessore. In altre parole, le linee di resistenza quando il serbatoio è rispettivamente vuoto e pieno, dovrebbero trovarsi entrambe all'interno, o ad una piccola distanza oltre, il terzo medio dello spessore della parete" (RANKINE 1872).

    Anche l'italiano Gaetano Crugnola, che pure propose un suo profilo (assurto in Italia al rango di norma tecnica in quanto recepito nelle Norme per gli Ingegneri incaricati dell'estensione di progetti preliminari di grandi serbatoi, emanate dal Ministero di Agricoltura Industria e Commercio nel 1886), mosse ai profili francesi la medesima critica. Analizzando in particolare il profilo Krantz per una diga di 20 metri di altezza, egli osservava come la trazione a monte, in due sezioni situate a mezza altezza, fosse "rispettivamente di chilogr. 2,30 e chilogr. 2,49 per centimetro quadrato, mentre essa non dovrebbe oltrepassare chilogr. 0,50, anzi (…) dovrebbe essere nulla". Diversamente, "il muro presenterebbe da questa parte una forte tendenza ad aprirsi. Questa sola circostanza basta per farci rifiutare senz'altro il profilo, sebbene esaminandolo dal punto di vista della resistenza allo scorrimento, presenti la stabilità voluta. L'andamento della curva delle pressioni ci mostra, che la larghezza del muro alla sua base è quasi sufficiente, mentre verso il mezzo la convessità della faccia esterna è troppo pronunciata" (CRUGNOLA 1883).

    Crugnola

    fig. 2:  Gaetano Crugnola, 1850-1910.

    Tuttavia, né i francesi, né Rankine, né Crugnola nei loro studi tennero conto di una forza destabilizzante che, aggiungendosi agli sforzi di trazione prodotti a monte dalla spinta dell'acqua e, in parte, dal ringrosso del coronamento rispetto ad un ideale profilo di larghezza nulla in sommità, avrebbe potuto produrre la rottura della diga. Si tratta della sottospinta. Ancora a beneficio del lettore che non fosse un tecnico, si richiama che l'azione dell'acqua sulla diga non si riduce alla spinta idrostatica dell'invaso sul paramento di monte; c'è anche un'altra forza (la sottospinta, appunto) che l'acqua esercita infiltrandosi in pressione all'interno e al di sotto della muratura. Nelle dighe a gravità questa forza è sfavorevole alla stabilità, perché spinge verso l'alto la muratura sovrastante, e quindi contrasta e riduce l'azione stabilizzante del peso della struttura.

    Furono ancora una volta i disastri a dispensare durissime, ma preziose, lezioni ai tecnici e agli studiosi. Nel 1881 crollò la diga dell'Habra in Algeria, causando 250 morti. Nel 1895 crollò la diga di Bouzey nei Vosgi, Francia orientale, e i morti furono 87.

    Habra e Bouzey

    fig. 3: Le dighe dell'Habra, Algeria, 1871, crollata nel 1881, e di Bouzey, Francia, 1880, crollata nel 1895 (TORRICELLI et al. 1886).
    Habra H = 35 m, L = 450 m, C = 30 Mm³
    Bouzey H = 20,15 m, L = 525 m, C = 7 Mm³

    La diga dell'Habra cadde in occorrenza di una piena eccezionale che determinò la tracimazione della diga per circa un metro sopra il parapetto (e un metro sopra il parapetto voleva dire 4 metri sopra il normale livello di ritenuta). Il fatto che la rottura della diga fosse avvenuta sotto un carico eccezionale, non previsto nei calcoli, oscurò il problema delle carenze strutturali della diga, evidenziando, semmai, quello dell'insufficiente capacità di scarico dello sfioratore.

    Habra dopo il crollo

    fig. 4:  La diga dell'Habra dopo il crollo, nelle illustrazioni di una rivista dell'epoca (LE MONDE ILLUSTRÉ 1882). Il crollo del 1881 era in realtà il secondo verificatosi sulla diga dell'Habra, e non sarebbe stato l'ultimo. Il 10 marzo 1872, poco dopo l'ultimazione della diga, una forte piena determinò una breccia nello sfioratore di 55 m di larghezza e 12 m di profondità, che si terminò di riparare l'anno successivo. Fu poi la volta del crollo del 15 dicembre 1881, che aprì una breccia di 136 m di larghezza e 18 metri di profondità rispetto al coronamento. La diga fu nuovamente riparata negli anni 1883-87. Il 25 novembre 1927, ancora una volta in occasione di una piena rovinosa, la diga crollò di nuovo per 200 m di larghezza e 16 m di profondità. Fu ricostruita negli anni '60 come diga in materiali sciolti.

    Il sottodimensionamento della struttura apparve invece evidente nel caso della diga di Bouzey. Questa infatti si ruppe in presenza del normale carico di esercizio, e dunque era proprio nei calcoli di progetto che andava ricercata la causa del disastro.

    breccia della diga di Bouzey

    fig. 5:  Fotoincisione raffigurante la breccia apertasi nel 1895 nella diga di Bouzey (DUMAS 1896)

    Le diverse stagioni della diga di Bouzey

    fig. 6: Le diverse stagioni della diga di Bouzey: in alto a sinistra, la diga come fu realizzata originariamente. Si osserva che nel 1880, a costruzione già in gran parte avvenuta, fu deciso un rialzo di 2 metri della quota del coronamento, scelta che si sarebbe rivelata particolarmente infausta. In seguito al primo riempimento della diga, furono osservate perdite molto abbondanti, che nel marzo 1884, con un’altezza d’acqua nel serbatoio di 18,6 m, raggiunsero i 70 l/s. Il 14 di marzo, 135 metri dello sbarramento scivolarono verso valle; lo spostamento massimo misurato fu di 34 cm. Il bacino fu quindi svuotato e la diga rinforzata da un contrasto a valle insieme con un cordolo di sigillatura al piede di monte, ulteriormente impermeabilizzato da uno spesso strato di terra argillosa compattata (corroi). Il rinforzo e l’impermeabilizzazione della fondazione si rivelò efficace, e per alcuni anni sembrò che la diga si comportasse in modo soddisfacente, pur se le perdite si mantennero sempre sui 70 l/s per i maggiori livelli di invaso. Il 27 aprile 1895 la diga si ruppe nella parte centrale per una lunghezza di 180 metri a una profondità di circa 10 metri. 87 persone persero la vita nel disastro. La parte crollata fu solo parzialmente ricostruita nel 1901-1902. Infine, negli anni 1930-38, la diga fu nuovamente rialzata con la costruzione, a tergo del precedente sbarramento, di un rilevato in pietrame con manto di tenuta bituminoso.

    L'insufficiente spessore della diga di Bouzey era apparso evidente ai tecnici più avveduti già assai prima del disastro. Gli Ingg. G. Torricelli e G. Zoppi, nel loro rapporto del 1886 sui laghi artificiali dell'Algeria, della Francia e del Belgio, previdero il forte stato di trazione cui il paramento di monte sarebbe stato soggetto anche in presenza del carico di esercizio: "Nella Tav XIV, fig. 5ᵃ [vedi fig. 3 e il particolare in fig. 7, ndr], sono segnate le pressioni in carico sul paramento a valle e la curva delle pressioni che molto si scosta dal terzo medio; di modo che le tensioni che si svilupperebbero nelle differenti sezioni del paramento a monte, nella supposizione che l'acqua salisse alla massima ritenuta, sarebbero di parecchi chilogrammi per centimetro quadrato. Come vedesi, la diga troverebbesi in cattive condizioni di stabilità, se l'acqua salisse al livello per il quale essa fu calcolata, tanto più perché fatta con materiale che male resiste agli sforzi di tensione" (TORRICELLI et al. 1886).

    Bouzey - sezione

    fig. 7:  Particolare della tavola dedicata alla diga di Bouzey nel rapporto sulle dighe dell'Algeria, della Francia e del Belgio degli Ingg. G. Torricelli e G. Zoppi (TORRICELLI et al. 1886).

    Ad ogni modo, dal dibattito che seguì alla rottura della diga di Bouzey, emerse non solo l'evidente sottodimensionamento delle sezioni resistenti, ma anche una concausa non ancora nota e considerata nei calcoli: la sottospinta, appunto, cioè la risultante della sottopressione, la pressione dell'acqua infiltrata tendente a far "galleggiare" la diga o una sua parte

    Comparazione Bouzey-Furens

    fig. 8: Confronto fra la sezione maestra della diga di Bouzey e quella della diga del Furens, da cui si osserva l’eccessiva esilità della prima (ICE 1896)
    In realtà, entrambe le dighe furono dimensionate col sistema Delocre, ma nel caso della diga di Bouzey si ammise un carico massimo di 10 kg/cm² (contro i 6 kg/cm² ammessi per la diga del Furens), e si suppose che la sezione resistente non fosse orizzontale, bensì normale alla risultante delle tensioni (cfr. TORRICELLI et al. 1886). Peraltro, l'asse planimetrico della diga del Furens era arcuato, mentre quello della diga di Bouzey era rettilineo.

    In realtà, gli studiosi e gli ingegneri della seconda metà dell'800, pur non avendo ancora "scoperto" la sottospinta, avevano un'idea generale degli effetti negativi che l'acqua eventualmente infiltratasi nella massa muraria avrebbe potuto produrre sulla stabilità della diga. L'Ing. Eugène Bidaut, progettista della diga belga della Gileppe, ultimata nel 1878 (dunque prima dei fatti dell'Habra e di Bouzey), preoccupato di garantirsi contro l'azione di alleggerimento che l'acqua infiltrata avrebbe potuto esercitare, dimensionò la muratura ipotizzando addirittura che l'intera diga si sarebbe comportata come un corpo immerso: nei calcoli, il peso specifico della muratura fu ridotto da 2,3 a 1,3 t/m³. Da questa ipotesi derivò un volume di muratura enorme, degno delle dighe spagnole dei secoli passati, e tuttavia tale da dare ampia garanzia contro ogni sorpresa derivante dalle infiltrazioni d'acqua.

    Gileppe

    fig. 9La diga della Gileppe, Belgio, 1878, (TORRICELLI et al. 1886).
    H = 52 m, L = 235 m, C = 12 Mm³
    Nel 1971 la diga fu sopraelevata portandone l’altezza a 68 metri, lo sviluppo del coronamento a 365 m e la capacità di invaso a 26,4 Mm³. L’incremento di altezza fu conseguito inglobando la vecchia diga in un rilevato in pietrame.

    In Inghilterra, l'Ing. George F. Deacon, progettista e costruttore della citata diga del Vyrnwy (1888), previde sulla diga, per la prima volta nella storia, un sistema di drenaggi per dare sfogo ad eventuali infiltrazioni alla base.

    Vyrnwy - drenaggi

    fig. 10Il sistema di drenaggi previsto nella diga del Vyrnwy. A destra, particolare dell’estremità inferiore di un tubo di drenaggio, al contatto con la roccia di fondazione (DEACON 1896).

    In ogni caso si aveva la convinzione che, realizzando una muratura perfettamente impermeabile, si potesse prescindere dal mettere in conto gli effetti dell'acqua infiltrata. E infatti, nei testi si ritrovano raccomandazioni in tal senso: "in una traversa di trattenuta anche le più piccole screpolature possono riescire fatali all'intera costruzione, se l'acqua riesce a penetrarvi e ad ingrandirle" (CRUGNOLA 1883).

    Il primo che già nel 1895, pochi mesi dopo il crollo della diga di Bouzey, individuò il problema della sottopressione e suggerì dei rimedi atti a prevenirlo, fu il francese Maurice Lévy: "Il pericolo specifico per le dighe di grande altezza che sono state realizzate fino ad oggi sia all'estero che in Francia deriva dalla sottospinta, o spinta verso l'alto, prodotta dall'acqua allorché questa, attraverso le fessure, riesce a penetrare nella muratura per una profondità sufficiente. Anche un aumento esagerato delle loro dimensioni non eliminerebbe completamente questo pericolo. È un problema del tutto simile a quello che presenterebbe una caldaia senza valvola di sicurezza, e l'unico rimedio radicale consisterebbe, credo, nel dare alle dighe, d'ora in poi, l'equivalente di questo dispositivo".

    Come dispositivo di sfogo delle pressioni, Lévy suggeriva di addossare al paramento di monte una serie di pilastri verticali a base quadrata di 2 metri di lato, distanziati di 2 metri l'uno dall'altro. Ai pilastri sarebbe stato poi addossato un muro di guardia, formando così una serie di pozzi a sezione quadrata correnti per tutta l'altezza della diga. Gli angoli di questi pozzi avrebbero poi potuto essere arrotondati, in modo da conferire loro una forma circolare, che ne avrebbe aumentato la resistenza, e avrebbe meglio connesso il muro di guardia col massiccio della diga.

    Quand'anche si fosse presentata una crepa, e avesse raggiunto e interessato la muratura, l'acqua non avrebbe potuto infiltrarvisi ed esercitare una pressione, in quanto sarebbe stata intercettata dai pozzi e convogliata a valle.

    "Per le dighe in muratura non dotate del dispositivo appena descritto, e quindi per le dighe esistenti che destassero qualche preoccupazione, sarebbe opportuno, a mio avviso, adottare una nuova condizione di resistenza lungo il paramento di monte.

    Solitamente si impone (e anche questo non è rigorosamente osservato ovunque) che alle loro estremità a monte i giunti orizzontali non tendano ad aprirsi, e cioè non siano soggetti a trazione; ciò equivale a imporre che la curva delle pressioni rimanga in tutte le sezioni contenuta entro il terzo medio. Ma non basta: si dovrebbe impedire all'acqua di entrare in una giuntura o in una fessura, anche se, per effetto della temperatura o per altre ragioni, questa si formasse.

    La condizione teorica necessaria e sufficiente, a questo fine, è che la pressione all'estremità di monte della giuntura sia maggiore della pressione dell'acqua nel serbatoio in questo punto. (…) In questo modo l'acqua, invece di tendere a penetrare nella muratura, tenderà sempre ad essere espulsa" (LÉVY 1895).

    Il rimedio preventivo consistente nel disporre, a monte del paramento contr'acqua, un dispositivo di drenaggio tale da dar sfogo alla sottopressione appare tutt'oggi per niente irrazionale, ed ebbe nei primi decenni del '900 numerose applicazioni, solitamente consistenti in una serie continua di voltine semicircolari ad asse verticale addossate al paramento di monte ("manto Lévy"). Viceversa, l'idea di Lévy di "strizzare" la muratura a monte, imponendovi una compressione tale da espellere l'acqua, indica una comprensione del fenomeno ancora parziale, consistente nel ritenere che la sottopressione si manifesti solo in conseguenza dell'apertura di una fessura nel paramento. Secondo questa impostazione, sarebbe bastato comprimere la muratura, così da chiudere le fessure, e la sottopressione non si sarebbe potuta manifestare. 

    A quali conclusioni paradossali (ma inattaccabili sul piano della logica) possa portare l'assunto secondo il quale la sottopressione si manifesterebbe solo quando si aprissero delle fessure nella muratura, si osserva dal ragionamento di un altro Autore francese dell'epoca, Albin Dumas, il quale, in un suo studio teorico-pratico sulle dighe del 1896, sosteneva che qualunque fessura si fosse aperta sul paramento di monte per effetto di uno stato di trazione, avrebbe comunque portato alla rottura della diga. La fessura, infatti, avrebbe generato l'insorgere della sottospinta, che avrebbe approfondito la fessura determinando una sottospinta ancora maggiore, che avrebbe ulteriormente approfondito la fessura e così via, fino alla rottura: "Di fronte all'incertezza che regna sull'entità degli sforzi che è lecito ammettere, è opportuno considerare la parte compressa come la sola utile alla resistenza, e darle dimensioni sufficienti perché possa far fronte a tutte le forze distruttive che agiscono sul muro. Quanto alla parte sottoposta a trazione, è facile notare che non solo è inutile, ma anche dannosa per la resistenza.

    Dumas - illustrazione

    fig. 11Illustrazione dello studio teorico-pratico sulle dighe di A. Dumas relativa al formarsi e progredire delle fessure per effetto di uno stato di trazione sul paramento di monte (DUMAS 1896).

    Supponiamo infatti di avere una diga in cui la curva delle pressioni X-X esca dal terzo medio [fig. 81, ndr]. Ci sarà una certa parte del muro, rappresentata dalla superficie tratteggiata, che sarà soggetta a forze di trazione. Sotto l'influenza di queste forze, i giunti del paramento di monte tenderanno ad aprirsi, e si potrà verificare una fessura come m-n, che si estenderà progressivamente su tutta la parte non compressa. È ipotizzabile, allora, che la parte dell'opera posta al di sopra della fessura sia in pericolo, perché l'acqua, entrando nella fessura, produrrà una sottopressione avente l'effetto di alleggerire quella parte di muro e di porla in condizioni ben diverse da quelle considerate nel calcolo della sua resistenza.

    A nostro avviso, la fessura m-n tenderebbe ad approfondirsi sempre di più, e a portare, a poco a poco, alla sicura distruzione del muro. Infatti, la riduzione di peso prodotta dalla sottopressione esercitata su m-n comporterà lo spostamento a valle del baricentro del muro, e conseguentemente l'avvicinamento della curva delle pressioni al paramento di valle. Quindi, non solo sarà aumentata la pressione sul paramento di valle, ma sarà anche aumentata la forza di trazione esercitata sul paramento di monte, e ciò si tradurrà in un certo approfondimento della fessura m-n. Poiché a tale approfondimento conseguirà un aumento della superficie su cui si esercita la sottopressione, seguirà un nuovo alleggerimento e una nuova inflessione verso valle del muro, che aumenterà ulteriormente la potenza delle forze distruttive. Ciò comporterà un ulteriore approfondimento della fessura, e così via, fino a ridurre la parte integra della parete a tal punto che le pressioni che si svilupperanno sul paramento di valle saranno tali da determinare lo schiacciamento dei materiali. Può anche accadere che il muro collassi per taglio della sezione ridotta, prima che questo schiacciamento si sia verificato, perché l'alleggerimento del muro avrà l'effetto di ridurre la forza che si oppone allo scorrimento delle parti a contatto l'una sull'altra" (DUMAS 1896). A conclusioni simili a quelle di Dumas giunse anche l'inglese William Cawthorne Unwin (ICE 1896).

    In realtà, quale che sia lo sforzo di compressione nel materiale, la pretesa di realizzare una muratura (o una fondazione) completamente impermeabile è irrealistica. Come già dimostrarono Stevino e Pascal nel XVI e XVII secolo, l'acqua esercita per intero la sua pressione anche penetrando attraverso aperture piccolissime. Dunque l'acqua in una muratura non solo entra, ma vi scorre all'interno, esercitando tanto la sua pressione destabilizzante, quanto la sua azione dilavante sulle malte, quando queste non siano perfettamente idrauliche. Questo fenomeno non si può evitare del tutto; si tratta semmai di conviverci, da un lato mettendolo in conto nei calcoli strutturali, e dall'altro contrastandolo per quanto possibile, e cioè curando che non solo lo sbarramento, ma anche la fondazione e le spalle siano il più possibile impermeabili. In questo modo l'acqua in movimento, attraversandoli, già subisce una perdita di energia e di pressione, perdita che può essere ulteriormente accresciuta dotando lo sbarramento e la fondazione di un sistema di drenaggi che diano sfogo alla pressione residua.

    Ad ogni modo, se pure i tecnici e gli studiosi non capirono da subito la natura della sottopressione, ne intuirono, come si è visto, l'esistenza e previdero delle contromisure che, giustificate o no sul piano teorico, ebbero generalmente l'effetto di portare, per le dighe a gravità, a scelte progettuali meno azzardate.

    La diga di Bouzey non fu l'ultima presunta vittima della sottopressione. Nel 1911 collassò la diga di Austin, in Pennsylvania, USA, terminata due anni prima, uccidendo 78 persone. La diga era costituita da calcestruzzo ciclopico, e ancora una volta dimensionata senza mettere in conto la sottospinta, confidando nell'impermeabilità della fondazione e della diga stessa. Da questa impostazione progettuale derivò una sezione apparentemente assai esile, che ancora oggi si può apprezzare osservandone le rovine. Il collasso avvenne per scorrimento dei conci sul piano di fondazione.

    Il disastro riaccese il dibattito sulla sottopressione, cui parteciparono i massimi esperti americani della materia. In particolare, una discussione, ampia, vivace e approfondita, si svolse nell'ambito dell'American Society of Civil Engineers, ed è raccolta nelle "Transactions" dell'Associazione del 1912 (ASCE 1912).Le posizioni che si confrontarono variavano letteralmente tra estremi opposti: chi riteneva che la sottopressione andasse messa in conto considerando il valore della pressione idrostatica di monte agente uniformemente su ogni sezione orizzontale, come sostanzialmente fu fatto per la diga della Gileppe sopra citata; chi riteneva che la sottopressione potesse essere trascurata, se si fosse potuto far conto sull'impermeabilità della diga e della fondazione; chi riteneva impossibile realizzare una diga e una fondazione del tutto impermeabile e dunque il moto di filtrazione andasse messo in conto considerando una sottopressione variabile linearmente, lungo ogni sezione orizzontale e lungo il piano di fondazione, tra la pressione idrostatica a monte e quella a valle; chi riteneva che la sottopressione dovesse essere considerata agente sull'intera superficie della sezione orizzontale o del piano di fondazione; chi riteneva che questa potesse agire solo su una quota parte della superficie, dove il moto di filtrazione effettivamente si manifestava.

    Austin - rovine

    fig. 12I resti della diga di Austin, Pennsylvania, USA, terminata nel 1909 e crollata nel 1911 (per cortesia di howderfamily.com su flickr.com).
    La diga non fu mai ricostruita, e le sue rovine si trovano oggi nella stessa posizione in cui furono sospinte il giorno del disastro.
    H = 15 m, L = 163 m, C = 760˙000 m³

    In esito alla discussione, l'autorevolissimo consesso stilò le seguenti conclusioni, riferite anche da William P. Creager (universalmente noto per il profilo di sfioro che ne porta il nome) nel suo classico testo sulle dighe murarie del 1917 (CREAGER 1917):

    1. "In tutte le dighe ben costruite la sottopressione in fondazione non può agire sull'intero piano di appoggio o sull'intera superficie di qualunque giunto orizzontale [della fondazione, ndr], e nella muratura non può agire sull'intera superficie di qualsiasi giunto orizzontale.
    2. L'intensità della sottopressione al piede di monte della diga non può mai essere maggiore, ed è generalmente minore, della pressione idrostatica. Inoltre, questa sottopressione diminuisce di intensità dal piede di monte a quello di valle, dove sarà zero se l'acqua fuoriesce liberamente, e avrà il valore della pressione idrostatica se al piede di valle vi è carico idrico.
    3. La sottopressione in fondazione dovrebbe essere minimizzata mediante un taglione, drenaggi profondi e iniezioni, se possibile; e nella stessa diga servendosi di buoni materiali e manodopera, e mediante drenaggi in elevazione, se ritenuto opportuno.
    4. Il progetto dovrebbe essere basato sulle condizioni riscontrate in ciascun sito dopo un'indagine approfondita mediante sondaggi, pozzi di prova e altro, e modificato, se ritenuto necessario, dopo che il substrato roccioso sia stato scoperto.

    Dopo tutto, la giusta valutazione della sottopressione non è una "scienza esatta"; bensì, l'ingegnere, dopo aver considerato tutte le informazioni ottenibili sul caso specifico, deve usare il suo miglior giudizio, basato sull'esperienza e sull'osservazione, nel fare la sua valutazione; e il progetto definitivo dovrebbe essere redatto in modo da non comportare rischi indebiti da un lato e costi inutili dall'altro".

    Si tratta, come si può ben capire, di una sintesi salomonica delle opposte opinioni espresse. Non fu pienamente accettata la tesi, pur espressa nel dibattito dall'Ing. Edward Godfrey e sostenuta da altri, che la sottopressione derivasse da un moto capillare dell'acqua nella diga e nella fondazione, e che perciò "Ogni diga muraria dovrebbe essere progettata per far fronte ad una sottopressione agente sull'intera base, di intensità non inferiore, al lembo di monte, all'intera pressione idrostatica"; tuttavia, si posero le basi per una razionale messa in conto della sottopressione, considerandola agente sull'intera superficie (di fondazione o intermedia) ed avente una andamento lineare con valori estremi, a monte e a valle, pari alla pressione idrostatica, pur se moltiplicata per un coefficiente di riduzione dipendente dalla qualità della struttura e della fondazione.

    Fu questa anche l'impostazione della normativa italiana fino al 1959: sostanzialmente si assumeva che le pressioni interstiziali, all'interno della diga, agissero solo su una frazione m di qualsivoglia sezione orizzontale, il che equivaleva a calcolare la sottospinta sull'intera area della sezione, ma con pressioni moltiplicate per un coefficiente riduttivo m, detto "porosità superficiale". Solo nel secondo dopoguerra Leroy F. Harza e l'italiano Luigi Gherardelli dimostrarono per vie diverse come fosse in realtà m = 1 (HARZA 1949, GHERARDELLI 1954). E infatti, nel D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, "Approvazione del regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e l'esercizio delle dighe di ritenuta", il coefficiente di riduzione m fu definitivamente abbandonato.

    Nel frattempo che la problematica della sottopressione (insieme con altre, quali la spinta del ghiaccio) veniva meglio studiata e compresa, portando infine, per le dighe a gravità, ai profili attuali, tali da coniugare insieme la razionalità e la sicurezza, senza più eccessi di materiale ma anche senza più pericolosi sottodimensionamenti, altre innovazioni fecero la loro comparsa. La principale fu la definitiva affermazione, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, dell'uso del moderno cemento Portland, legante idraulico per eccellenza, al posto della calce idraulica. Negli anni 1866-72 fu costruita la prima diga in calcestruzzo di cemento Portland. Si tratta della diga di Boyd's Corner, destinata ad alimentare la città di New York. Anche la più volte citata diga del lago Vyrnwy (1888) fu realizzata confezionando la malta della muratura con cemento Portland (DEACON 1896).

    Boyd's Corner

    fig. 13La diga di Boyd’s Corner, New York, 1872  (WEGMANN 1896).
    Si tratta della prima diga al mondo in cui fu utilizzato calcestruzzo di cemento Portland. La diga è stata recentemente demolita e ricostruita in versione più moderna. La nuova Boyd’s Corner è stata ultimata nel 1990.
    H = 24 m, L = 204 m, C = 10,3 Mm³

    In Italia, come precedentemente riferito, l'adozione del cemento Portland fu più tardiva. Cionondimeno, anche qui, come nel resto del mondo, il Portland finì rapidamente per sostituire del tutto la calce idraulica. Questo fu possibile grazie alla produzione di cementi a basso calore di idratazione, tali da contenere l'insorgere di fenomeni di fessurazione derivanti dallo sviluppo di alte temperature nei getti massivi, ma anche grazie a tecniche avanzate di posa in opera volte a raffreddare il calcestruzzo sia in fase di confezionamento che in fase di maturazione, dopo il getto.

    Grande Dixence

    fig. 14La diga Grande Dixence, Svizzera, 1961 (per cortesia del Sig. Marco Verch su flickr.com).
    H = 285 m, L = 700 m, C = 400 Mm³

    L'affermazione dei moderni cementi nella tecnica delle dighe di ritenuta consentì da un lato una maggiore sicurezza riguardo alla idraulicità e insolubilità delle malte e dei calcestruzzi, e dall'altro una maggiore resistenza delle strutture murarie: abbiamo visto come intorno al 1870-1880, considerate le caratteristiche delle calci idrauliche di quel periodo, si riteneva che il carico ammissibile per una muratura non dovesse superare i 6-10 kg/cm². Questa limitazione nella resistenza delle murature si traduceva anche in una limitazione nell'altezza delle dighe murarie. Infatti, superati all'incirca i 50 metri di altezza, il carico alla base della muratura avrebbe finito per eccedere il carico ammissibile. Quando si pensi che un normale calcestruzzo moderno può lavorare a 80-90 kg/cm² (anche se nelle dighe a gravità raramente il carico di esercizio si eleva al di sopra dei 50 kg/cm²), si ha un'idea di quali orizzonti "dimensionali" il moderno calcestruzzo abbia aperto. La Grande Dixence, attualmente la diga a gravità più alta del mondo, misura 285 metri di altezza.

    Fonti iconografiche e riferimenti bibliografici


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    Data aggiornamento: 22/04/2022

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